Giuliano Briganti

Valerio Castello

Genova 1624 - 1659

Mosè calpesta la corona del faraone e supera la prova del fuoco

penna, inchiostro, acquarello seppia rialzato in biacca su carta azzurrina, mm 174 x 210 (opp. mm 250 x 285)

Bibliografia: Martin Royalton-Kisch, New works by Valerio Castello, in “Master Drawings” XX, 1982, 2 pp.134 -135 nota 8 tav.29; Camillo Manzitti, Valerio Castello, Torino 2004 pp.262-263 n.D52; Valerio Castello 1624-1659 genio moderno, catalogo della mostra a cura di Maria Cataldi Gallo, Luca Leoncini, Camillo Manzitti, Daniele Sanguineti (Genova, museo di Palazzo Reale), Milano 2008 pp.313-314 sub n.79 (scheda di Anna Manzitti)

Un primo e superficiale sguardo al disegno indurrebbe ad identificarne il soggetto in una Presentazione di Gesù al tempio, tema altrove trattato da Valerio Castello, ma un esame più approfondito rivela invece un soggetto diverso. Il disegno raffigura infatti un episodio tratto dalle Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio (II,9,7), storico ebreo. Il testo racconta la storia di Mosé bambino. Il piccolo, adottato dalla figlia del faraone, intento a giocare con la corona del faraone che gli era stata posta, per scherzo, sul capo, la calpestò dopo averla fatta cadere a terra. In un primo tempo si era deciso, narra Giuseppe Flavio, di punire il bambino per l’oltraggio commesso, con la morte, ma poi l’intervento di un angelo, apparso sotto le spoglie di uno dei saggi di corte, suggerì di verificare la buona fede di Mosè. Vennero posti davanti a lui due piatti, l’uno con i carboni ardenti e l’altro con delle pietre preziose. A seconda di quello che il bambino avesse scelto, sarebbe stato chiaro se Mosè aveva o meno capacità di discernere. Il piccolo dotato dell’innocenza dei bambini, portò alla bocca un pezzo di carbone ardente, bruciandosi. Questa fu ritenuta una prova valida per dimostrare la sua innocenza. Valerio Castello raffigura proprio il momento della scelta: Mosé, bambino è al centro della composizione e protende le mani verso uno dei recipienti.
Di questa composizione Camillo Manzitti aveva pubblicato nel 1972 il dipinto di grandi dimensioni (olio su tela, cm 127 x 142) eseguito da Valerio Castello e conservato in una collezione privata genovese (Camillo Manzitti, Valerio Castello, Genova 1972 p.256 fig.164). Dieci anni dopo, su suggerimento di Nicholas Turner, Martin Royalton-Kisch pubblicò questo disegno della collezione di Giuliano Briganti, come preparatorio per il quadro. Il dipinto, più volte pubblicato ed esposto, ha fatto parte un tempo della collezione genovese di Angelo Costa.
Nel 1982 Martin Royalton-Kisch avanzava l‘ipotesi che questo disegno fosse pendant di un altro, conservato nel British Museum (n. 1920/11/16/4), e raffigurante il Ritrovamento di Mosé.
Il disegno della collezione Briganti è stato nuovamente pubblicato da Camillo Manzitti, nel 2004, nella nuova edizione della monografia dedicata a Valerio Castello, ma la pubblicazione è avvenuta solo sulla base della fotografia poiché nessuno ha visto il disegno dal vero.
Nel 2004 Camillo Manzitti scriveva che “l’esecuzione particolarmente raffinata e, nel particolare significato che il termine assume nei disegni del Castello, accurata, sembra configurare il foglio non tanto come uno studio preparatorio per la tela, quanto piuttosto una derivazione da quella ed espressamente destinata al collezionismo. Lo stile esecutivo simile, le misure assai prossime, e il medesimo tipo di carta, hanno giustamente suggerito che questo disegno fosse originariamente in pendant con un altro raffigurante il ‘Ritrovamento di Mosé’ (D 53) appartenente al British Museum.
E’ vero che tra disegno e dipinto non esistono variazioni compositive: lo stesso numero di figure disposte esattamente nella stessa maniera.
Il disegno è stato, unanimemente, datato agli ultimi anni di attività di Valerio Castello.


Laura Laureati
Aprile 2015